Bonsai e Suiseki

“Si può dunque dire che il bonsai è una disciplina formativa, come ogni altra via artistica orientale, poiché nel dimenticarsi di sé per intervenire al meglio sulla pianta, in realtà si dà forma e direzione a se stessi. (…) il bonsai diviene un metodo di formazione completo e radicale. Ciò che a prima vista appare intervento formativo dell’uomo sulla pianta, si rivela in profondità come intervento formativo dell’uomo su se stesso attraverso la pianta. Una trasformazione psicologica ed etica che diviene forza interiore dell’opera d’arte” (Pasqualotto Giangiorgio, “Yohaku”).    Il termine giapponese bonsai si può tradurre con “albero in vaso”.  Questa antichissima pratica di coltivazione ebbe origine in Cina e si diffuse in Giappone grazie ai monaci buddisti cinesi che, utilizzando il bonsai come oggetto di meditazione, insegnavano ai loro discepoli la via dello Zen. La bellezza di un bonsai è determinata dalla sua capacità di evocare l’immagine di un albero in natura, per ottenere questo risultato sono indispensabili appropriate conoscenze tecniche e molti anni di coltivazione. Non è, invece, necessario conoscere l’età reale di un bonsai perché un bravo coltivatore, nel tempo, può riuscire a raffigurare un albero vetusto anche utilizzando una pianta giovane. Tutti i bonsai esposti alle nostre mostre sono stati realizzati dai nostri soci.

SUISEKI : non solo pietre  – Percepire quello che non si vede di Daniela Schifano.  Suiseki : parola giapponese che indica una pietra naturale, e in senso lato l’arte di utilizzare pietre a rappresentazione di uno scenario della Natura. Quindi, il punto di partenza è una banale pietra, geologicamente un frammento di roccia, ma se un suiseki è una pietra, non tutte le pietre potranno essere suiseki, per caratteristiche geologiche ed estetiche. Da sempre le pietre, oltre a essere la base ed il tetto delle nostre esistenze, hanno attirato la mano e lo sguardo di chi ci vede forme bizzarre ed inaspettate, disegni riconoscibili o i colori dell’arcobaleno. Ma per l’uomo occidentale questo interesse è stato nulla di più di un divertimento fugace, come quando giochiamo a riconoscere la forma di una nuvola, subito dissolta dal vento. In Oriente, invece, da sempre l’uomo guarda alla pietra in altro modo: i Cinesi prima ed i Giapponesi poi hanno fatto della pratica della valorizzazione della pietra una vera e propria arte, investendola di significati religiosi, filosofici e poetici, coerentemente con la rispettiva cultura e tradizione. In Cina chiamate Gongshi, in Giappone Suiseki, le pietre sono selezionate in base a criteri ben precisi, in cui la forma, la superficie, la grana ed il colore ma anche qualità più intime ed evocative hanno grande importanza. Così, se in Cina è apprezzata una pietra chiara e anche di forma astratta, che è ‘puro spirito’, in Giappone si prediligono le pietre scure e con una forma che deve ricordare un paesaggio naturale. Con la crescente diffusione dell’arte del bonsai e la nascita di riviste specializzate, circa trent’anni fa si cominciò a conoscere anche in Italia l’arte dell’apprezzamento delle pietre, facendo preciso riferimento alla tradizione giapponese : chi si è avvicinò a quest’arte, quindi, iniziando a cercare pietre e ad esporle, lo ha fatto attenendosi ai criteri definiti dalla concezione giapponese, ed utilizzando quindi il termine suiseki per definire quelle pietre che ne rispettano lo spirito. Si è tentato in verità di coniare un termine occidentale, come Viewing Stones, ma la parola giapponese suiseki è rimasta quella che è riconosciuta in tutto il mondo. La cultura Zen ed in generale il particolare rapporto che i Giapponesi hanno con la natura e che traspare in tutte le loro forme artistiche, dal bonsai all’ikebana, dalla calligrafia alla cerimonia del tè, hanno determinato anche i principi del suiseki, stabilendo quelle che agli occhi occidentali possono essere viste come rigide regole a cui attenersi. Brevemente allora, un suiseki è una pietra che, per poter essere definita tale in armonia con i principi della tradizione giapponese :

  • deve essere completamente naturale, plasmata solo dagli agenti atmosferici e non lavorata dall’uomo;
  • deve in pochi tratti essenziali (nella forma oppure nel disegno sulla sua superficie) evocare un elemento presente nel mondo naturale (montagne, cascate, laghi, isole, ma anche animali e figure antropomorfe). Solo due manufatti umani sono ammessi : le barche e le capanne, semplici e fatiscenti, in quanto inserite in un mondo arcaico e naturale;
  • tutte le sue caratteristiche fisiche (forma asimmetrica, colore, superficie, durezza) contribuiscono a definirne quelle spirituali : sobrietà, solidità, tranquillità, solitudine, profondo distacco. Questo ultimo punto è forse quello di più difficile comprensione ed attuazione per noi occidentali : riusciamo ad apprezzare in una pietra le qualità estetiche, ad immaginare somiglianze ed analogie, a provare emozione e coinvolgimento, ma più difficilmente riusciamo a viverne gli aspetti filosofici, perché si entra in un mondo intangibile, dove la bellezza latente è più importante della bellezza evidente. Infatti, un  buon suiseki non ha una forma spettacolare, ma mostra la presenza di una particolare atmosfera, dovrebbe ‘emanare’ una visione, suggerire un respiro, un particolare stato d’animo, l’aria di qualcosa, dovrebbe essere incompleto e per questo richiederà un’attività partecipativa da parte dell’osservatore. Inteso come opera d’arte,  un suiseki può essere una fonte di emozione, che può sgorgare solo se l’osservatore possiede le qualità richieste. Allora un intero mondo “si aprirà“, un mondo intrinseco, che è il vero regno dell’arte del Suiseki. Quello che vediamo dipenderà solo da noi.